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Helga Stentzel, il gioco dell’arte

di Luca Ferracane

Certe volte mi capita di imbambolarmi sul particolare di qualcosa, sia essa la trama di un tessuto, il morbido manto della gatta, i resti di cibo nel piatto o un mucchio di vestiti. Potreste osservarmi in una sorta di rapimento, assente, lo sguardo fisso su qualsiasi cosa possa essere, banalmente, d’uso comune. Una sera, ad esempio, mentre mi asciugavo i capelli dopo la doccia, complice il tepore del phon che, ammetto, mi stordisce, mi ero bloccato a fissare le pieghe a cui il tappeto scombinato aveva dato origine. Immediatamente, ai miei occhi apparivano come pensiline di ghisa di una stazione ferroviaria e le fughe del pavimento i binari che sparivano sotto di esse. Io guardavo tutto questo da lontano, come fossi sporto dalla cima di un palazzo molto alto. No, non è per alienazione o follia, ma perché mi capita di scorgere in questi oggetti delle forme che mi rimandano ad altro, e penso.

Sarà capitata a molti, del resto, la stessa cosa, soprattutto a chi è munito di fervida immaginazione. Non è vero che quest’ultima sia prerogativa tipicamente infantile, anzi, conosco adulti che, con maggior naturalezza di un bambino, sono molto più propensi a slegarsi dal razionale.

dal profilo instagram di Helga Stentzel

Forse perché i frugoli d’oggi, ahimè, subiscono un bombardamento di suoni e immagini virtuali – complici i genitori che preferiscono gli “schermi-sitter” al più tradizionale gioco, condiviso o no – che anestetizza la loro capacità di vedere le cose per quello che non sono, fantastica abilità che ritengo essere invece fondamentale per la costruzione di un animo sensibile al bello, sensibile alla natura, sensibile agli altri. Non deve sembrare assurdo, mai, perché il gioco è componente essenziale della giusta formazione di ognuno di noi, in grado di far maturare la coscienza individuale nell’esperienza della finzione ludica. Si fa teatro, si recita, si rappresenta il mondo. Siamo stati tutti attori, da bambini, giocando a fare finta. Per questo a nessun bambino dovrebbe essere negato il gioco poiché significherebbe commettere un’azione scellerata e crudele, privando una persona di parte della propria identità. Evadere con l’immaginazione è poi un espediente salvifico in molte occasioni, allena la mente mantenendola giovane, contribuisce a smorzare la consuetudine, a volte troppo pesante, della nostra quotidianità soprattutto in un periodo surreale e asfissiante come quello che stiamo vivendo. L’inglese Helga Stentzel (1986) è una di quelle eterne bambine che, con grande spirito d’osservazione e curiosità ha saputo sfruttare, proprio per gioco, la propria acuta inventiva, approdando sui profili social nei quali ha ulteriormente dato sfogo all’ispirazione, ricevendo largo consenso. È difficile, si sa, in un marasma sconfinato di gente che vorrebbe sponsorizzarsi per guadagnare notorietà, riuscire a ottenere visibilità sulle piattaforme digitali, fruite quotidianamente da orde di coscienze annoiate sempre più superficiali e in cerca di un fenomeno sul quale focalizzare l’attenzione, in un circolo vizioso. Eppure, le trovate di quest’insolita artista, di una spontanea semplicità, catturano vivacemente l’interesse di un vasto pubblico proprio per la loro ingenua immediatezza.

dal profilo instagram di Helga Stentzel

Dai disegni sulle uova sode, dalle cui fratture è fuoriuscito l’albume condensato a ricordare un’acconciatura, alle stravaganti e ironiche composizioni di frutta e ortaggi animate da occhi, gambe e braccia, agli insoliti animali assemblati con la biancheria stesa.
S’intuisce che dietro vi è davvero, seppure poi presentato e confezionato ad hoc per gli adepti della rete, un divertimento sincero, istintivo, reale motore di queste opere singolari. Non possono non strapparci un sorriso. Mi fanno venire voglia di riversare scatoloni di costruzioni sul pavimento, di ritagliare carta e cartone per fabbricare piccole città, di modellare con il pongo. Mi fanno venire voglia di creare altri mondi. Per finta.

dal profilo instagram di Helga Stentzel

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