Chi tra noi non ha mai giocato a indagare, osservando tra le nuvole, le più disparate forme che il cervello ci suggeriva, sedotti da quel vapore morbido che lentamente veniva trasformato dal vento, minuto dopo minuto. A me capita di farlo tutt’ora, se ne ho la possibilità, oppure provo a soffermarmi sul flusso di fumo denso che può scaturire da una sigaretta o dai grani d’incenso adagiati su un braciere. Certo, è più difficile, ma parimenti, in quella nebbia effimera può celarsi l’immagine di qualcosa. Pareidolia, magnifica parola che descrive il fenomeno di cui ho parlato. Nuvole e fumo sono gli esempi e i mezzi più comuni affinché ciò avvenga, eppure molteplici sono i frammenti di realtà sui quali l’occhio può focalizzare l’attenzione, dando origine a bizzarre visioni. Macchie sui vestiti, sulle pareti, zolle di terra, effetti di luce, tutto può stuzzicare quella facoltà dagli imprevedibili esiti che è l’intelletto. La fantasia poi, la suggestione e l’ignoto possono combinarsi facendo apparire fantasmi, mostri, memorie che si materializzano fugaci.
Ciò può risultare spaventoso, ma può anche rivelarsi affascinante. Da bambini viviamo molto di pareidolia, spontanea o indotta da fiabe e racconti, tradizioni e perché no, dispetti degli adulti. Anche l’arte non sfugge al fenomeno e così può accadere che si giochi a cercare qualche elemento nascosto in un dipinto o qualcosa che non c’è nel contrasto di pieni e vuoti di una scultura, nelle prospettive delle architetture. Per caso mi sono imbattuto nei lavori di un singolare artista bresciano, Fabio Bix (1969) e tra i suoi progetti uno mi ha colpito in particolar modo. Omnia alia sunt è una ricerca fotografica e scultorea in cui i due linguaggi si compenetrano e si sostengono vicendevolmente. Sono sculture itineranti, bianche come la neve, antropomorfe, immortalate fotograficamente in vari scenari urbani, dalle grandi metropoli alle città più piccole. Sembrerebbero alti monumenti eppure dei video svelano l’effettiva realtà. Queste statue altro non sono che semplici e leggerissimi fazzoletti di carta adagiati e modellati, con l’ausilio dell’acqua, su una sottile anima metallica non più alta di 15 centimetri. Sfogliando le immagini al pc sono rimasto bloccato di fronte a quelle che per me erano reinterpretazioni efficacissime di Madonne rinascimentali e barocche nei loro abbondanti e vistosi panneggi. Alcune in particolare restituivano alla memoria la figura delle Marie del celebre Compianto sul Cristo morto di Nicolò dell’Arca, custodito a Bologna, e che i candidi lembi di carta mi suggerivano immediatamente. Prodigi dell’occhio. A ben guardare, invece, non c’è nulla di tutto ciò e se ci si avvicina ci si rende conto che sono proprio dei fazzoletti stropicciati. Eppure l’incanto resta, perché ogni cosa sembra posizionata – merito dell’artista – esattamente dove dovrebbe essere, e dalle strisce di carta pare chiaro individuare una muscolatura che traspare, gambe flesse, braccia protese. Un po’ come quando, da una candela che si consuma, la cera che cola va formando casualmente delle forme. Poi siamo noi che, col nostro bagaglio e lo stato d’animo del momento, doniamo vita a quel che ci si pone dinanzi. Così le sculture di Bix godono di una doppia vita, l’una conferita dall’intenzione artistica del suo artefice, l’altra, multiforme, propria di tutti quegli sguardi che le trasformano in infinite e intime manifestazioni. Provate a soffermarvi, in qualsiasi momento, su un elemento o sul suo particolare e cercate di “intorpidire” la vista. Forse vi accorgerete, giocando coi sensi, di qualcosa che non avevate mai notato prima. Del resto, come insegna il titolo di questa ricerca artistica, la realtà è sempre – sorprendentemente – qualcos’altro.